il peccato

Si può ridere di Dio?

La tentazione di ridere del sacro è molto forte. Ma altrettanto forte è la paura di farlo.

Un proverbio italiano molto condiviso e diffuso sembra avvisarci: "scherza coi fanti ma lascia stare i santi".

Il primo ostacolo che si presenta a scherzare direttamente su Dio è la questione del cosiddetto "cattivo gusto". La spiritualità è una delle nostre sfere più intime. E' estremamente facile correre il rischio di toccare la sensibilità degli altri, anche se proprio per questo fascino perverso di trasgressione la battuta sulla religione, se bella, è di sicura riuscita.

Varrebbe la pena, allora, che qualche teologo protestante spendesse qualche parola in più per spiegare cosa è sacro e cosa non lo è affatto. Sarebbe interessante discutere se possa esistere una spiritualità cristiana e, nell'eventualità, in cosa si distinguerebbe dalle esperienze mistiche, ascetiche e new age.

In merito alla possibilità che il Dio dei cristiani abbia la capacità di ridere, nella mia personale e parziale ricerca, ho scoperto anche l'esistenza di due partiti opposti:

Da un lato quanti sostengono che Dio, il libro attraverso cui si è rivelato (la Bibbia) e le chiese che a lui si riferiscono sono una cosa "terribilmente" seria.

Dall'altro quelli che sono convinti, e cercano di convincere gli altri, del contrario.

A volte i sostenitori della presunta capacità umoristica della religione (nel nostro caso di quella cristiana) sono proprio quelli che poi si offendono e si dicono scandalizzati se la satira, la battuta o la gag risulta efficace e fa davvero ridere.

Peter Berger, un sociologo americano autore del libro Homo Ridens [1], non ha dubbi: è evidente la mancanza di senso di umorismo nei testi sacri e nella dottrina cristiana. Anche se crede fermamente che la "follia della redenzione", e molti brani della teologia paolinica, rappresentino dei paradossi che giustificano e valorizzano un approccio ironico alla vita e alla fede.

Dà sollievo, e contribuisce ad aumentare l'orgoglio protestante, l'affermazione che tra i grandi personaggi della storia della Chiesa, quello che dimostrò il senso dell'umorismo più spiccato fu Lutero. Quando gli fu chiesto cosa facesse Dio per tenersi occupato per l'eternità rispose che Dio se ne stava seduto sotto un albero a tagliare rami e a farne verghe da usare contro quanti facevano domande idiote.

A questo punto dell'articolo siamo almeno in tre: io, Peter Berger e Martin Lutero, a trovare la capacità di ridere di Dio.

Un teologo, e non uno da poco, Reinhold Niebuhr considerato da molti un riferimento della teologia protestante americana del XX secolo, si è preso la briga di giustificare agli occhi degli altri cristiani la buona fede degli spiritosi.

"L'intimo rapporto tra umorismo e fede deriva dal fatto che l'uno e l'altro hanno a che fare con l'incongruo presente nelle nostre esistenze. L'umorismo riguarda le incongruità immediate della vita, la fede quelle essenziali. Sia l'uno che l'altra sono espressioni della libertà dello spirito umano, della sua capacità di restare al di fuori dell'esistenza, e di se stesso, a contemplare la scena. Ma qualsiasi visione d'insieme pone immediatamente il problema di come alle incongruità del vivere bisogna rapportarsi; giacché lo sforzo di comprendere l'esistenza, e il posto che noi vi occupiamo, ci mette di fronte a elementi incoerenti e incongrui che non s'accordano con nessuna chiara visione d'insieme. Il riso è la reazione alle incongruità immediate e a quelle che non ci colpiscono in maniera decisiva. La fede è l'unica possibile reazione alle incongruità essenziali dell'esistenza che costituiscono una minaccia al significato intimo della vita [.]."[2]

Scusate se è poco.

 

Purtroppo per chi fa il mestiere dell'umorista o peggio ancora del satiro, alcune religioni hanno la tendenza ad utilizzare lo Stato per difendere i propri privilegi mentre altre armano la mano dei fondamentalisti.

Personalmente ritengo che in uno stato laico esista il diritto di criticare le scelte degli altri in tema di religione e spiritualità e anche a farlo in modo ironico.

Esiste, certamente, la possibilità che gli altri non apprezzino la critica e che possano arrabbiarsi molto. Questo va tenuto in conto, ma non può limitare la libertà di espressione. In un regime pluralista e democratico è ammessa ed è possibile la replica.



Sergio Velluto
(Torino, 30 gennaio 2010)

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